giovedì 3 aprile 2008

Badile: Cattedrale di Granito - Volken M., Miotti G.

“…all’inizio dell’estate del 1937 emerge un nuovo candidato: Riccardo Cassin, uno dei migliori dolomitisti, abituato al sesto grado ma meno al granito. Perciò, assieme ai suoi compagni, Vittorio Ratti e Gino Esposito, visita due volte la Capanna Sciora, per ispezionare la parete portandosi anche sullo spigolo per familiarizzare con la roccia. La sera del 13 luglio 1937, si incontrano al rifugio diversi aspiranti: i com’aschi Mario Molteni e Giuseppe Valsecchi; i lecchesi Cassin, Esposito e Ratti; Fred Kaiser e Bert Lehmann. Questi ultimi rinunciano però alla competizione dirottando verso lo spigolo Nord-Ovest del Cenalo, che conquistano il giorno 15. La mattina del 14, le due cordate italiane attaccano indipendentemente l’una dall’altra. All’alba del 15, Molteni propone di proseguire uniti, cosa che comporta una sola cordata a cinque. Una scommessa delicata; Cassin acconsente lo stesso, forse per pietà e apprensione verso i contendenti più deboli. Tuttavia la truppa avanza bene. Più in alto una caduta di sassi sventra lo zaino di Molteni, privando i com’aschi di sacco da bivacco, vestiti di scorta, guanti e chiodi da roccia di riserva. Verso sera Molteni e Valsecchi accusano violenti sintomi di stanchezza e durante il secondo bivacco, un violento temporale consuma molte forze. Il 16, Cassin, “il bulldozer del sesto grado” (Yves Ballu), si fa strada attraverso pioggia, cascate d’acqua e grandine, che poi diventa neve , conducendo tutti sulla vetta dove mettono piede alle 4 del pomeriggio, dopo 52 ore in parete, 34 ore di arrampicata e 45 chiodi piantati – in media uno ogni 20 metri. La discesa, sotto una furiosa bufera, si tramuta in una lotta per la vita che avrà le sue vittime: nonostante l’enorme impegno profuso dai lecchesi, Molteni e Valsecchi soccombono per sfinimento strada facendo. Un altro bivacco sul versante sud è inevitabile. Finalmente, il 17, Cassin, Esposito e Ratti, completamente distrutti, giungono al rifugio Gianetti – non senza prima aver portato la salma di Valsecchi giù dalla parete …” (p.76-77).

“… (19 marzo) prima dell’alba i due proseguono di nuovo, l’unica via per uscire da questa trappola [la parete Nord]. La bufera imperversa e copre i volti di una sottile corazza di ghiaccio; Gianni [Rusconi] vuole pulirsi col guanto l’occhio sinistro, ci riesce ma con il guanto stacca ciglia e sopracciglia. Più in alto un’altra valanga trascina via Gianni per 30 metri, ma fortunatamente il volo si ferma. Dopo 8 ore e mezza di lotta attraverso la bufera, improvvisamente la piccozza di Gianni affonda nel vuoto, non c’è più parete – dev’essere la cima. Sono le 14:30. un momento indescrivibile: “Vorrei urlare, pregare; ma le labbra sono tutte gelate e non mi è possibile muoverle. Mi inginocchio.” L’itinerario viene battezzato “Via del Fratello”, in memoria del fratello, Carlo Rusconi, che nel 1955 cadde mortalmente in Grigna. Quattro mesi più tardi Gianni Rusconi tornerà sulla parete per ripetere per primo la via e godersela con temperature estive. E per recuperare tutta l’attrezzatura abbandonata, cinepresa 16 mm inclusa, compreso il contenuto il contenuto prezioso: le pellicole della loro impresa…” (p. 150).

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